Il foglio mi sorride lieto dalla bacheca dell’ufficio. Sotto
le dieci righe di una mail, infatti, si trova un emoticon molto contento,
tracciato a penna: due punti in grassetto al posto degli occhi e una grande
bocca che guarda allinsù. In questi tempi un po’ rugginosi non è proprio così
diffuso che un operatore dei servizi sociali esponga sulla sua bacheca di
sughero un’emozione positiva. Il richiamo è troppo forte e non resisto.
Leggo
la mail: “Buongiorno. Con questa mail
vorrei semplicemente ringraziarla per l’incoraggiamento che mi ha dato: non
sarei mai venuta ieri con Alberto se lei non mi avesse dato una spinta. Siamo
stati veramente bene e non ho parole per esprimere la mia gioia: sono stata in
grado per la prima volta dopo tanti anni di stare con mio figlio senza doverlo
soltanto contenere, ma al contrario divertendomi con lui. Ieri mi sono commossa
nel vedere Alberto a suo agio insieme a ragazzi come lui. Il passo successivo
ed ideale sarebbe conoscere le famiglie di questi ragazzi speciali. Insomma, mi
sono sentita sicura e così mi sono anche rilassata. Le sarei grata se mi
tenesse informata di iniziative analoghe. Grazie ancora. A presto.”
Davvero un bel messaggio, di quelli che ti aggiustano la
giornata e non solo quella: parole dirette e consapevoli, senza sbrodolate.
Capisco al volo che a scriverla è stata una mamma di un “ragazzo” con disabilità,
qualche mese indietro; perché l’evento di cui si parla è “Party senza
barriere”, un progetto - ideato
dall’azienda speciale dei Comuni - per promuovere il tempo libero delle
persone con le più diverse disabilità, da quelle fisiche a quelle mentali.
Un’idea semplice, nata da una constatazione altrettante
facile: nella generalità dei casi i servizi dedicati ai disabili fanno un
ottimo lavoro, ma hanno orari contenuti, che lasciano per così dire scoperta
una fetta significativa della settimana. Il tempo libero, appunto, che però
rischia di rimanere vuoto perché affidato alle famiglie che spesso fanno
fatica, se lasciate sole, ad attivarsi. Ecco allora la catena di iniziative che
cominciano a “colorare” il tempo dei ragazzi: sport, musica, concerti, partite
allo stadio, incontri con i campioni dello sport, visite alle mostre.
Un’attività sociale e culturale che lentamente si è allargata fino a costituire
un centro gravitazionale partecipato da diciannove tra cooperative e
associazioni. Il culmine di tutto questo movimento è, appunto, la festa di fine
settembre, il vero e proprio party senza
barriere; un fine settimana dedicato allo sport e a numerose attività:
laboratori creativi, yoga della risata, teatro.
Di quelle giornate mi è rimasta impressa la messa, celebrata
sotto gli alberi del parco; ero lì con mio figlio e non è stato possibile non tenere
d’occhio le tante coppie di genitori e figli disabili presenti. Era evidente il
gran daffare soprattutto dei padri, per la gran parte attempati, nello “star
dietro” a figli un po’ irrequieti e sempre bisognosi di qualcosa. Cercare di
mantenere un clima da celebrazione, nelle panche in fondo, ha dato vita a una micro
battaglia sotto voce e sotto traccia: sposta la sedia, vai in bagno, spegni una
risata troppo forte, cerca di capire cosa c’è, separa i due amiconi e via di
questo passo.
Solo dopo, al liberi tutti, i padri hanno potuto cominciare –
visibilmente - a respirare.
Siamo stati veramente
bene e non ho parole per esprimere la mia gioia: sono stata in grado per la
prima volta dopo tanti anni di stare con mio figlio senza doverlo soltanto
contenere, ma al contrario divertendomi con lui.
A volte basta un party.

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